SEGNALAZIONE DEL SECONDO ROMANZO DELLA SERIE "DIARIO VITTORIANO"
- di Laura Costantini -
Lord Kiran di Lennox
Diario vittoriano vol. 2
Laura Costantini
ebook 6,99 € | cartaceo 12,99 €

Amazon | Apple iBookstore | Bookrepublic | Giunti al Punto | Google Play | IBS.it | Kobo Books | LaFeltrinelli.it | Libreria Rizzoli | MondadoriStore


Trama
Un incontro d’anime. Questo è accaduto tra Robert, scrittore e pittore, e Kiran, conte e filantropo. A niente sono serviti rancori fanciulleschi, orgoglio, paura. Sono destinati a ritrovarsi. E nell’attesa del processo che, a pochi anni di distanza da quello subito da Oscar Wilde, si appresta a distruggere vita e reputazione di Robert, i suoi diari sono lì, pronti a restituirgli un’adolescenza che ha saputo sconfiggere ogni convenzione. E che a quelle anime innamorate ha concesso di trovarsi e toccarsi. Unirsi. Questo è il secondo episodio della serie Diario vittoriano.
Vi lascio qui sotto due estratti dal nuovissimo romanzo di Laura (STAY TUNED!!!)
Kiran si allena con Bappa
La sala era enorme e spoglia. Il soffitto si elevava ben oltre il primo piano e lasciava piovere sul
pavimento di pietra scura una luce livida, ignara del candore della neve che circondava il castello. Il
camino, dove si sarebbe arrostito senza difficoltà un vitello intero, era acceso, ma la vampa di
calore che ne scaturiva non riusciva in alcun modo a stemperare il gelo del salone medievale, del
centro stesso della storia dei conti di Lennox. Un tempo quello era stato il cuore del maniero. Poi la
pietra ruvida dei secoli oscuri era stata addolcita da propaggini in stili architettonici diversi. Oggi il
mastio era il perno dell’edificio che aveva assunto la grazia di una residenza di campagna. C’erano
salotti, camere da letto, caminetti, tendaggi, tappezzerie di velluti preziosi e tappeti. Ma non lì.
Sotto lo sguardo vacuo e minaccioso delle armature, l’ultimo conte di Lennox lottava a mani nude e
piedi scalzi. Incurante del freddo che solidificava il respiro, addosso il cotone spesso di ampi
calzoni e di una casacca stretta in vita da un cordone, Kiran si difendeva dai feroci attacchi di
Bappa. Non era più la danza del tai chi chuan . Non impugnavano armi. Ma i colpi erano pesanti e
Kiran ne portava i segni mentre schivava, saltava, rotolava in terra, incassava. Ogni errore veniva
duramente punito. E l’ultimo lo bloccò in una situazione che sarebbe stata letale se Bappa fosse
stato un nemico. Il nepalese strinse fin quasi a soffocarlo. Poi lo lasciò e fece un passo indietro.
Kiran fece altrettanto. Il fiato mozzo, il sudore a colargli negli occhi nonostante la fascia che gli
cingeva la fronte, la rabbia negli occhi dorati, giunse le mani davanti al petto e si inchinò al
maestro.
«Non dovete odiare me, milord, ma la vostra rabbia. Esattamente quella che vi fa compiere gli
errori per cui, poi, odiate me e la vostra stessa infantile irruenza.»
Kiran respirò a fondo sentendo l’aria fredda raschiare la gola offesa dalla stretta di Bappa.
«Avete ragione», ammise riacquistando la posizione eretta.
«Lo so.»

«Adesso andate a lavarvi e cambiarvi. O prenderete un malanno.»
Una scrollata di spalle mentre sfilava la fascia dalla fronte e si detergeva il sudore dal volto. Ma si
accinse a obbedire. Sapeva che Celandine, la governante, aveva già fatto approntare la vasca di
acqua calda nelle sue stanze. E sperava che il calore attutisse la tensione dei muscoli e il dolore
delle contusioni.
Robert incontra Catherine
Un vento teso percuoteva il molo del porto fluviale di Calcutta. Il povero Ciril, sebbene avesse i
piedi ancora ben saldi sulla terraferma, era già impallidito in previsione del rollio del piroscafo una
volta che avesse salpato l’ancora e si era seduto su un rotolo di gomena mentre Jacob dirigeva i
facchini nel trasporto del bagaglio dei ragazzi. Robert faticava a mantenere il casco di sughero sulla
testa, mentre il vento sembrava non avere potere sul turbante che Kiran aveva imparato ad
avvolgere sui capelli. Per questo Robert, la testa china, non vide fluttuare nell’aria la seta cerulea di
uno scialle. Fu Kiran ad afferrarlo al volo e a guardarsi intorno. Non ebbe difficoltà a individuarne
la proprietaria. Non correva, sarebbe stato oltremodo disdicevole, ma si affrettava. Si affrettava
molto, una mano a sollevare le gonne e mostrare gli stivaletti col tacco, l’altra a mantenere fermo
sui capelli il cappellino che neanche il fiocco sotto il mento riusciva a trattenere. Li raggiunse e il
suo sguardo sorvolò il sorriso cortese di Kiran per appuntarsi su Robert.
«Avreste la compiacenza di dire al vostro servitore di restituirmi lo scialle, signore?»
Una mano a tenere il casco di sughero, l’altra tesa a Kiran per avere indietro lo scialle, Robert fu
incapace di staccarsi da quel volto, da quell’incarnato, da quelle iridi. Una ninfa scesa da una tela
preraffaellita. La dolcezza di lineamenti di certi inarrivabili ritratti di Lord Frederic Leighton. La
trasparenza dell’acquamarina tra le ciglia castane. Riccioli color del grano a sfiorarle le guance e il
colletto ricamato del giacchino del verde tenero delle foglie appena nate.
Le tese lo scialle, tolse il casco e si inchinò.
«Robert Stuart Moncliff per servirvi, signorina...»
«Catherine Louisa Woodworth», rispose porgendo la mano guantata.
Kiran osservava incredulo e fu il solo ad accorgersi del sopraggiungere di un uomo. Robert si stava
producendo in un baciamano da manuale.
«Catherine, vi avevo detto di non allontanarvi.»
«Il signor Moncliff ha recuperato il mio scialle, padre.»
Ancora uno sguardo che sorvolò la pelle scura, i lunghi capelli e il turbante di Kiran. Il padre di
Catherine catturò la situazione: bauli di fattura pregiata, facchini, quattro valletti al servizio di quel
ragazzo lentigginoso avvolto nella sahariana.
«John Woodworth», si presentò. «Anche voi di ritorno in patria?»
Robert si sforzò di staccare gli occhi dal viso, ora soffuso di rossore, della signorina Catherine.
«Sì, anzi, lasciate che vi presenti il mio compagno di viaggio, Lord Kiran Douglas di Lennox. È
stato lui a salvare lo scialle di vostra figlia da un lungo viaggio sul delta.»
La fanciulla si portò la mano alla bocca, in una manifestazione d’imbarazzo che non le giunse agli
occhi. Suo padre tese la mano e non perse l’occasione di occhieggiare il prezioso anello col topazio
all’anulare di Kiran.
«Sarà bene salire a bordo», disse Robert per rimediare al silenzio del conte, «o questo vento porterà
via anche noi. Posso?»
Porgeva il braccio a Catherine, ma guardava suo padre. Che assentì con un sorriso.
Kiran aveva lasciato libero Ciril non appena il Dacca aveva salpato l’ancora e affrontato le acque
fangose del delta. Lì il vento non riusciva a sollevare altro che spruzzi e piccole increspature, ma
verso l’orizzonte il mare era un ribollire di schiuma. Per il povero Ciril l’inizio di un’agonia che lo
avrebbe accompagnato per almeno sei giorni, fino a Bombay. E lì, dopo un giorno di requie sulla
terraferma, per altre tre settimane, fino a Londra.
Per Kiran il mare in tempesta non era quello davanti alla chiglia del piroscafo. Doveva accadere, si
disse. Sir William voleva un figlio sposato e sarebbe stato fiero nel vedere Robert lanciato in un
corteggiamento efficace su Catherine almeno quanto sul suo genitore. Era facile immaginare cosa
ne sarebbe stato della baronessina Eithne Kintore e delle trattative matrimoniali del barone
Moncliff. Sapeva riconoscere quel certo sguardo negli occhi di Robert ed ebbe voglia di tornare
indietro. Di rifugiarsi nel regno sul lago ai piedi delle montagne. La lontananza fisica dal suo amico
gli avrebbe fatto meno male di quella che stava sperimentando ora.
Sfilò gli stivali, tolse la giacca. Nei monotoni rituali dei ricchi viaggiatori britannici c’era da
cambiarsi per la cena nella sala della prima classe. Ma non aveva fame. Avrebbero fatto a meno di
lui. Poteva accampare la stanchezza, il mal di mare, perfino la rabbia per quella sciocchina che lo
aveva chiamato servitore e non aveva neanche sentito la necessità di scusarsi.
Si buttò sul letto escludendo il mondo con l’avambraccio sugli occhi. Ma la porta si spalancò
lasciando passare un Robert eccitatissimo.
«Non è bellissima? E io non ho neanche una lastra per poterla fotografare.»
«Falle un ritratto», rispose senza scoprirsi gli occhi.
«Guarda che posare per un pittore non è una cosa adatta per una fanciulla di buona famiglia. Dovrei
chiedere il permesso a suo padre.»
«Non credo avrebbe niente in contrario.»
Lo sentiva passeggiare avanti e indietro per la cabina.
«Ha gli occhi più infiniti che abbia mai visto. E l’incarnato. Hai visto come le sale il rossore alle
guance? E i capelli?»
Kiran si costrinse ad alzarsi a sedere.
«Flossie è più bella.»
Sembrò accorgersi di lui solo in quel momento.
«Flossie è una ragazza graziosa. Catherine è un angelo. Il signor Woodworth ci ha invitati al suo
tavolo per cena.»
«Ti ha invitato.»
Robert gli si fermò davanti.
«Sei in collera?»
«I servitori non possono esserlo.»
«Si è confusa. Avevi il turbante. Eravamo su un molo del porto di Calcutta e, di solito, le persone
con la pelle scura per una fanciulla inglese...»
Lo sguardo di Kiran sembrava bruciare.
«Il tuo angelo dagli occhi infiniti ha un titolo nobiliare?»
«Si chiama Catherine e no, è una borghese, ma cosa...»
«Beh, potresti farle presente che un conte e principe ereditario, anche se ha la pelle scura e indossa
un turbante, non condivide il desco con dei semplici borghesi.»
«Non ho voglia di litigare.»
«Neanch’io. Ma non ho neanche voglia di intrattenermi con il signor Woodworth per permettere a
te di contemplare il prossimo soggetto dei tuoi disegni e dei tuoi pensieri sul diario. Mi farò portare
qualcosa in cabina da Bappa.»
Commenti
Posta un commento